Una Sonnambula che esce fuori dal contesto bucolico e realizzata con vari espedienti tecnici in dialogo con il palcoscenico. Più che il sonnambulismo, domina il sonno in un’ambientazione riempita da materassi, cuscini, persone che si sdraiano e si addormentano. Una rilettura fuori dal contesto. La protagonista è sostituita all’ultimo momento, creando un certo malessere nel pubblico, malessere alla fine superato, ma che rimane nel giudizio divisivo sulla regia.
Direttore Francesco lanzillotta; Interpreti: Ruth Iniesta (Amina), John Osborn (Elvino), Roberto Tagliavini (il conte Roberto)

DIRETTORE FRANCESCO LANZILLOTTA

REGIA Jean Philippe Clarac e Olivier Deloeuil “LE LAB”

LISETTE OROPESA AMINA
JOHN OSBORN ELVINO
ROBERTO TAGLIAVINI IL CONTE ROBERTO
MONICA BACELLI TERESA
FRANCESCA BENITEZ LISA
MATTIA ROSSI ALESSIO

La Sonnambula è un melodramma in due atti di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani. Ritenuto uno dei tre capolavori belliniani insieme a I Puritani e a Norma, fu rappresentato la prima volta il 6 marzo 1831 al teatro Carcano di Milano. Fu composto in due soli mesi a Montrasio, sul lago di Como, nella villa Lucini Passalacqua, vicina alla casa di Giuditta Turina con la quale il musicista aveva una relazione amorosa. L’opera fu dedicata all’amico Francesco Pollini e le fu abbinato un balletto-pantomima di Scribe tratto da La sonnambule ou l’arrivée d’un nouveau seigneur. In realtà a Bellini era stata commissionata un’opera con riferimento all’Hernani di Victor Hugo, ma la censura austriaca lo impedì e il musicista decise di cambiare soggetto. Alla fine, con il consenso dello stesso Bellini venne eliminata l’agnizione per la quale conte Rodolfo si rivelava padre di Amina.

L’ultima serata in calendario del teatro dell’Opera di Roma ha visto una numerosa partecipazione da parte del pubblico, non solo perché l’ultima, ma per il desiderio di ascoltare dal vivo Lisette Oropesa. In realtà, con forte e spiacevole sorpresa, pochi minuti prima dell’inizio è arrivata la comunicazione della sua assenza per un malessere improvviso, cosa che ha creato certamente amarezza e delusione, stati d’animo continuati ad inizio dello spettacolo con l’apparizione di uno schermo cinematografico in cui una giovane e bellissima donna, l’attrice Lucia Lorè, in un lussuoso albergo romano accanto al teatro, nella stanza che fu della Callas (la 429) alla vigilia del matrimonio si sposta nella camera in movimenti e azioni piene di mistero in preda ad agitazione e assume pasticche, si ubriaca, fino quasi a svenire nella vasca da bagno.

La regia di Jean Philippe Clarac e Olivier Deloeuil ha previsto dei video curati da Pascal Boudet e Thimothée Buisson e la prosecuzione del filmato per tutto lo spettacolo in un serrato dialogo con il palcoscenico, scelta che crea uno stravolgimento dell’argomento nato come bucolico, complicandolo. La scena del film si sposta nel museo di palazzo Barberini, nel quale alcune opere d’arte (La Fornarina raffaellesca, la statua velata del Corradini ed altre) vengono manipolate dalla presenza della modella con richiami erotici insistiti.

L’ambientazione della scena non è bucolica, ma è quella dello spazio espositivo Helvetia. Sul palcoscenico dominante è la presenza di letti, materassi, cuscini, allusioni al sonno, quale tematica centrale. In realtà, più che il sonno e il suo mistero, il tema dovrebbe essere quello del sonnambulismo. Un materasso enorme centrale alla fine si ribalterà consentendo ad Amina di camminare su una specie di filo in preda alla suddetta patologia e a trascinarsi nella discesa portandosi dietro la testa l’enorme cuscino. La regia mostra quasi un’ossessione, una ripetitività degli oggetti riguardanti il sonno e le camere da letto.

Le voci sono quelle di Ruth Iniesta (soprano) Amina, in sostituzione di Lisette Oropesa, un’Amina poco incisiva sia dal punto di vista scenico che da quello vocale; John Osborn(tenore), di grande notorietà è Elvino, non al meglio delle sue possibilità vocali e lievemente affaticato; Roberto Tagliavini (basso), il conte Roberto, domina la scena con la sua presenza e una vocalità profonda e impeccabile; Francesca Benitez (soprano), Lisa, qualche carenza nelle colorature; Monica Bacelli (soprano), Teresa, notevole presenza scenica.

Francesco Lanzillotta dirige in modo essenziale ed esatto, musicale, curando il rapporto con il palcoscenico e i cantanti, ma emergono di tanto in tanto momenti di stanchezza.

Pienezza e preparazione del coro diretto dal maestro Ciro Visco.

Nel complesso uno spettacolo pieno di risorse veramente eccessive, privo di richiami al contesto del libretto, elemento che confonde lo spettatore.
Tuttavia, al contrario di quanto previsto all’inizio, con un pubblico in preda alla delusione, lo spettacolo è sembrato di un buon gradimento. Molti gli applausi e inaspettati consensi.

Giuseppina Giacomazzi

La recensione si riferisce al 17 aprile