DIRETTORE MARC ALBRECHT

REGIA BARRIE KOSKY

JOHN DASZAK ERODE

KATARINA DALAYMAN ERODIADE

SARA JAKUBIAK SALOMÈ

NICHOLAS BROWNLEE JOCHANAAN

JOEL PRIETO NARRABOTH

La Salomé di Richard Strauss fu eseguita la prima volta a Dresda il 9 dicembre 1905. L’opera, composta di un solo atto e di un balletto, non ha subito una riduzione librettistica e si è avvalsa del concorso dello stesso Richard Strauss, di Oscar Wilde, autore del testo, e di Hedwig Lachmann che l’ha tradotto dal francese. In Italia la prima venne rappresentata a dicembre del 1906 al teatro Regio di Torino.

Richard Strauss fu contestato per immoralità, ma si deve comprendere il contesto dell’epoca, che ne giustifica in parte la ricezione. L’opera è centrata su un flusso di coscienza, su un’ossessione che trascina Salomé verso la scelta omicida dell’oggetto d’amore in contrasto con quella di Jochanaan, che offre la sua vita a Dio: Eros e Thanathos.

L’opera è oggi eseguita in Italia e nel mondo, ma forse non nella misura che meriterebbe per la complessità musicale e per la drammaticità e particolarità del testo.

La regia di Barrie Koski sorprende lo spettatore già prima dell’apertura del sipario, coinvolgendolo fra forti suoni misteriosi provenienti da tutte le direzioni, suoni quasi minacciosi che preludono al buio dell’apertura del sipario e all’apparizione della figura di Salomé in un vestito di un bianco abbagliante e con una serie di tentacoli sulla testa. Il palcoscenico sarà sempre avvolto nel buio, un buio che darà centralità ai corpi, soli ad essere illuminati dalle luci curate da Joachim Klein, corpi oggetto del lavoro accurato della regia.

Nella prima parte si prepara la tragedia: la curiosità, l’attrazione di Salomé per lo sconosciuto prigioniero che incanta con la sua voce e con i suoi anatemi contro la corruzione di quella corte e in particolare di Erodiade, sua madre, nuova moglie del tetrarca. Il suicidio di Narraboth, convinto nonostante il lavoro di dissuasione ad aprire quella prigione per amore della principessa, la rigidità di Jochanaan che solo in qualche momento cede alla sua umanità nel tentativo di sospingere Salomé a cercare Dio in Galilea.

La seconda parte è centrata sul protagonismo del tetrarca innamorato e disposto a pagare qualsiasi prezzo per ottenere la danza di Salomé per lui. La danza dei “sette veli” forse è il momento meno riuscito della regia, che ha voluto evitare ai cantanti passi di danza difficoltosi. Salomé estrae dalla terra o dal sesso una lunghissima corda intrecciata che richiama la chioma di Jochanaan e comunque una forma masturbatoria, forte richiamo sessuale.

I costumi di Katrin Lea Tag degli anni ’30 sottolineano gli stati d’animo di Salomé, donna travolta dalla passione, ma anche bambina egocentrica e viziata, non disposta ad accettare rifiuti.

La parte finale è dominata dal monologo di Salomé con la testa tagliata del Battista oscillante sul palcoscenico nel delirio della protagonista, immagine che appare forse discutibile e troppo insistita.

I cantanti ai quali si rivolgono l’attenzione e la cura della regia sono tutti all’altezza del ruolo. Lise Lindestrom (soprano), Salomé, domina la scena nonostante una vocalità di spinta e poco lirica ma capace di offrire momenti di grande intimità. John Daszack (tenore), Erode, dilaniato dalla scelta che la promessa lo costringe a fare, e Katarina Dalayman (mezzosoprano), Erodiade, convincenti nella interpretazione e nella vocalità. Nicolas Brownlee (baritono), Jochaanan, vocalità adeguata al ruolo, meno curata dalla regia la presenza scenica.

I comprimari (Karina kherunts, Michael J.Scott, Crhristopher Lemmings, Marcello Nardis, Eduardo Niave, Edwin Kaye, Zachary Altman, Nicola Straniero, Daniele Massimi, Giuseppe Ruggiero) sono tutti adeguati interpreti, in particolare il tenore Joel Prieto, nel ruolo di Narraboth, dalla vocalità limpida e chiara.

L’orchestra del teatro dell’opera di Roma diretta da Marc Albrect offre un meraviglioso suono intenso e vibrante, riscuotendo gli applausi e il grande consenso del pubblico. L’orchestrazione è spettacolare. L’erotismo del testo viene sottolineato dal cromatismo e quasi dalle acrobazie degli strumenti. La danza dei sette veli viene eseguita in modo coinvolgente e travolgente.

Il risultato è complesssivamente quello di uno spettacolo interessante, innovativo e coinvolgente. Una riflessione sulla passione amorosa e sul travolgimento che può portare a superare i limiti, anche oggi. Molti gli applausi.

Giuseppina Giacomazzi – La recensione si riferisce allo spettacolo del 14 marzo.

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