DIRETTORE AL CEMBALO FRANCESCO CORTI

REGIA OLIVIER FREDJ

MARCO SACCARDIN ORFEO

JIN JIAYU EURIDICE

MARGHERITA SALA MESSAGGERA

PAOLA VALENTINA MOLINARI PROSERPINA

LAURA ORUETA SPERANZA

EMILIA BERTOLINI NINFA

ALESSANDRO RAVASIO CARONTE

ROCCO LIA PLUTONE

L’Orfeo di Claudio Monteverdi su libretto di Alessandro Striggio, fu rappresentato per la corte dei Gonzaga al Palazzo ducale di Mantova nel Carnevale il 24 febbraio 1607 e fa riferimento alle Metamorfosi di Ovidio , alle Georgiche di Virgilio, alla Fabula d’Orfeo di Poliziano e all’Euridice di Rinuccini musicata da Jacopo Peri e Giulio Caccini, messa in scena a Palazzo Pitti nell’ottobre del 1600.

Al festival di Cremona l’opera è introdotta dall’immagine di una donna che versa le lacrime in due bicchieri, manifesto stesso dell’opera, figura che evoca la poetica surrealista di Antonin Artaud e ManRay.

La regia di Olivier Fredj distingue i due mondi , quello terreno e quello dell’oltretomba, sia nella musicalità che nella scenografia. La Musica nel prologo presenta Orfeo dopo il saluto encomiastico ai Gonzaga. L’atmosfera della festa matrimoniale è luminosa nell’esaltazione dell’ambientazione bucolica e dell’allegria dei pastori , la musica è dolce , realizzata con flauti e strumenti a pizzico, un invito all’allegria e alla condivisione del lieto evento, nella seconda parte l’uso degli ottoni , in particolare delle trombe rende l’atmosfera pesante e tragica. Monteverdi esprime nella musicalità del recitar cantando gli affetti, il legame fra la parola, la musica e i sentimenti che sarà alla base dello sviluppo del melodramma. Nella seconda vengono proiettate immagini surrealiste dell’occhio e dello sguardo in un clima privo di luce evocante il mondo ultraterreno dove Orfeo disperato si accinge a riportare alla vita la donna amata a nche alla condizione impostagli di non voltarsi a guardarla finché non sarà tornato alla luce del mondo, condizione che non riuscirà a rispettare, perdendo Euridice per sempre.

Marco Saccardin (Baritono), Orfeo, è interprete elegante, notevoli lo spessore drammatico e la presenza scenica. Ottimo Orfeo diplomato in chitarra classica, imbraccia la tiorba con competenza e disinvoltura. Sottolinea con spessore drammatico il passaggio dall’atmosfera di festa e felicità alla comunicazione della morte dell’amata da parte della messaggera Margherita Sala (contralto) . Non riesce a rispondere a tanto improvviso e inaspettato dolore che con un desolato “Ohimé”accompagnato da un organo di legno e da un chitarrone,.Jin Jiayu (soprano), Euridice e La Musica, doppio ruolo espresso con vocalità trasparente , chiarezza di emissione e delicatezza espressiva. Tutti sottolineano la centralità della parola. Fra gli altri interpreti tutti all’altezza di più ruoli interpretati, si distinguono Paola Valentinni Molinari (soprano), Proserpina, Laura Orneta (Mezzo soprano), La Speranza, Emilia Bertolini ( soprano); Una ninfa, Alessandro Ravasio (Basso ), Caronte, Rocco Lia (basso), Plutone.

L’opera ebbe finali diversi: in questa esecuzione la conclusione vede l’intervento di Apollo e comunque di una divinità salvifica , ma (ci fu anche un finale diverso che vedeva Orfeo dilaniato dalle baccanti per la sua trasgressione). Un finale apollineo e uno dionisiaco. In questa esecuzione è stato scelto il primo.
Merito del festival cremonese è quello di aver riproposto nel corso degli ultimi tre anni l’attenzione sulle opere monteverdiane che sono alla base del futuro sviluppo del melodramma.

L’ ensemble orchestrale Il Pomo d’Oro diretto al cembalo dal maestro e giovane regista Olivier Fredj sottolinea l’espressività del racconto musicale curando in particolare il colore e il fraseggio.

I due momenti della storia sono divisi fra prima e seconda parte ( gli atti riuniti sono cinque). La prima parte bucolica, momento di serenità e di gioia condivisa nel mondo pastorale, la seconda drammatica e tenebrosa. Il distacco fra le due parti rende la scenografia della seconda più faticosa da seguire da parte del pubblico e nel complesso da l’impressione di scenografie già viste.

Giuseppina Giacomazzi

La recensione si riferisce alla prima del 13 giugno.